Alla fine di colori ne sceglieva sempre due: il blu e il rosso. Non faceva altro che alternarli o mischiarli. Non mischiava così come si mescolano i colori, così come aveva imparato durante gli anni passati nelle aule della scuola d’arte. Lei sovrapponeva, senza ordine, il blu al rosso e lo faceva con degli schizzi ordinati che posizionava caoticamente così che un colore non sovrapponesse l’altro, così che la presenza di uno non determinasse l’assenza dell’altro. Era più o meno così che si alternava tra notte e giorno, tra il rosso del sole e il blu della notte, tra caos e quiete, follia e razionalità. Prima era blu, poi rosso, poi entrambi, poi ancora blu e ancora rosso e ancora entrambi. Adesso era rosso, di nuovo.

 

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