Cara Giulia, abbiamo sperato di leggere notizie diverse da quelle che si susseguono. Ma in fondo, l’epilogo di questa triste storia, lo conoscevamo già. Scrivo al plurale e non solo a nome mio perché credo sia il pensiero univoco di tante donne, lo so, lo sento a pelle perché qualche giorno fa, quando si sono riaccese le luci della sala nel cinema, dopo la proiezione del film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”, ho guardato apposta gli occhi dei presenti e solo noi donne avevamo gli occhi lucidi e pieni di lacrime, ci guardavano con quella sorellanza di chi sa cosa significa essere donna. Nessuno, tra gli uomini, almeno nella mia sala (e spero che altrove sia stato diverso), si è commosso. Fa specie, fa ragionare, fa comprendere che molte delle vicende quotidiane che ci sfiorano e a volte ci attraversano come fulmini violenti gli uomini non le riescono nemmeno a comprendere.
Noi invece si, noi lo sappiamo, lo sappiamo che dobbiamo imparare a farci forza, a non avere paura, ad essere coraggiose. Ma sappiamo anche che dobbiamo imparare a camminare in fretta, a vestirci comode in certe occasioni, quando sappiamo che al ritorno saremo da sole. Noi lo sappiamo che dobbiamo imparare a guidare, perché alcune corse dei mezzi, specie le ultime, mettono i brividi e dopo, se mai dovesse succedere qualcosa, la colpa per esserci ficcate in un guaio non sarebbe degli altri, sarebbe nostra perché “non è normale che una donna prenda un bus a quell’ora”. Magari dopo aver bevuto, magari dopo aver passato una bella serata in compagnia, magari per il semplice diritto di scegliere come e quando tornare a casa. Noi invece lo sappiamo che certi sguardi non vanno incrociati, che in certi luoghi conviene camminare a testa bassa, che non conviene dire quella parola di troppo. Noi sappiamo che non possiamo mostrarci troppo aperte o troppo chiuse, sappiamo che in ogni caso saremmo oggetto di critica, non solo dagli uomini, ma anche da altre donne, assurdo eh?. Noi lo sappiamo che se un professore ti mette la mano su una coscia durante un colloquio è meglio tacere, perché altrimenti chi passa per la poco di buono siamo noi, la colpa non è certo del prof, anche se eravamo vestite in tuta o con un paio di jeans, come se cambiasse qualcosa. Noi lo sappiamo che nel momento in cui rivestiamo un ruolo importante, saremo sempre “quelle che con il ciclo avranno l’umore a terra” “quelle che se si fidanzano cambiano carattere e smettono di pensare al lavoro” “quelle che tanto prima o poi avranno un figlio, che lo fanno a fare il capo” oppure quelle che se un figlio non lo vogliono perché magari invece nella vita hanno altri obiettivi “che razza di donne sono”. Sappiamo anche di essere quelle che subiscono più spesso commenti del tipo “ma come ti sei vestita?”, perché in certe occasioni i tacchi sono troppo e in altre lo stile sportivo “anche no”, sappiamo di essere quelle che non vengono calcolate, che nella maggior parte dei casi prendono stipendi peggiori, che devono sottostare alle violenze quotidiane, non solo a quelle fisiche, ma anche a quelle verbali e mentali, a quella violenza che si cela nel sottosuolo e fa capo ad una mentalità patriarcale che negli uomini, ma a volte anche nelle stesse donne, è quasi intrinseca nell’animo, ha radici lontanissime e proprio non si riesce ad estirpare. E passa di generazione in generazione, di secolo in secolo, di persona in persona, e ci fa persino essere ben consapevoli, quasi con velata accettazione, del fatto che Giulia, Giulia può essere chiunque tra noi.
Di tutta questa storia, quello che fa più ribrezzo è proprio sapere che in fondo, l’epilogo, lo conoscevamo già. Sapete cosa significa? Che è diventato normale. Ma hey, no. Non c’è nulla di normale in tutto questo, in questa sorta di accettazione che aleggia nell’aria da parte di tutti, donne e uomini. Il corpo di Giulia, ormai privo di vita, è stato trovato nel lago di Barcis, in provincia di Pordenone. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, Filippo, l’avrebbe portata nella zona industriale vicina. È qui che si sarebbe consumata la tragedia, una tragedia che purtroppo era già annunciata. Filippo, secondo quanto ricostruito, l’avrebbe prima colpita al volto, poi l’avrebbe afferrata per i capelli continuando a sbatterle la testa sull’asfalto, fino a quando Giulia non ha esalato l’ultimo respiro. Del suo ex fidanzato, nel momento in cui si scrivo non si sa nulla, si sono perse le tracce. Ci sono alcune immagini che lo immortalano a compiere un atto di violenza nei confronti di Giulia e poi ci sono le testimonianze di tanti che lo etichettano come un “bravo ragazzo”, una “persona per bene”. Solo la sorella e la zia di Giulia hanno lasciato emergere dettagli in merito alla sua possessività e al suo essere ossessivo nei confronti della ragazza. Anche Giulia lo sapeva, per questo, probabilmente, aveva avuto il coraggio di lasciarlo, perché purtroppo è così: ci vuole coraggio anche per fare quello che è giusto, quello che sappiamo essere la cosa migliore. Giulia si sarebbe dovuta laureare il 16 novembre, invece no: le è stato negato il diritto di vivere.
La verità è che noi non siamo libere, non lo siamo per nulla. Perché qualcuno pensa che la libertà sia semplicemente quella di essere sé stesse, di vestirci come ci va, di fare il lavoro che amiamo, di mettere su famiglia, oppure no, di dire la nostra ecc. Ma la verità è che la libertà, per noi donne, ha un valore molto più complesso, difficile da raggiungere. Perché? Perché subiamo violenze ogni giorno, perché non possiamo neanche camminare per strada tranquille senza sentirci addosso, costantemente, gli occhi di chi ci giudica, bene o male, a seconda dei casi, solo perché siamo donne. Subiamo violenze quando siamo costantemente sotto pressione o sotto giudizio, quando non possiamo “esistere” in qualità di donne, ma dobbiamo coesistere in qualità di persone, inevitabilmente con meno diritti, in un mondo in cui alcune parole sono ancora declinate solo al maschile, anche quando invece, la declinazione al femminile esiste. Subiamo violenze sempre, anche quando ripetete che le donne “vanno sfiorate con amore”. Ma non vi fa schifo? Diamine: io non voglio essere sfiorata in nessun modo, se non acconsento dicendo chiaramente che si, voglio essere sfiorata. Ma viviamo ancora in un mondo in cui ripetono a gran voce che gli uomini, quando sono gelosi, lo fanno perché “Ci tengono”. Che strano, noi donne, sin da quando nasciamo, impariamo, per necessità, ad avere coraggio, a sopportare, a resistere, a volte anche a reprimere, a mettere da parte qualcosa per gli altri, a fare battaglia, a sudare il doppio pur di ottenere qualcosa e a sentirci dire che, quando abbiamo raggiunto un traguardo, magari non è stato neanche per merito nostro, delle nostre capacità.
Qualcuna riesce anche a vincere le proprie battaglie, molte altre però soccombono, se non muoiono per mano dei propri compagni o ex compagni, muoiono dentro, non vivono più anche perché, se si dovesse decidere di “prendere in mano la propria vita”, come se la vita non fosse mai nostra a prescindere, “bisognerebbe fare i conti con i pareri altrui”. Perché denunciare o “lasciare” è sbagliato, “pensare a sé” è sbagliato., “bisogna trovare un compromesso, bisogna far funzionare le cose” anche quando far funzionare qualcosa significa andare a quel maledetto “appuntamento per chiarire”, che spesso diventa l’ultimo, oppure significa azzerarsi totalmente, fino a morire, perché purtroppo tante donne lo fanno, tante donne a volte non si rendono neanche conto delle persone con cui stanno e se se ne rendono conto pensano che forse qualcosa non va, ma non nel rapporto, non nell’altro, ma in se stesse. Perché così siamo state abituate. Il capo famiglia è sempre l’uomo no? Non esiste una divisione equa dei compiti, non esiste essere due persone capaci di condividere e fare passi e scelte insieme, non esiste ammettere di essere incastrati in una storia che non funziona, non esiste lasciare andare. Eppure, sarà tanto strano agli occhi di qualcuno, ma amare davvero, probabilmente, implica proprio l’avere la forza e il coraggio di lasciare andare, di permettere all’altro di fare le proprie scelte, la propria vita. E nella maggior parte dei casi sono gli uomini che non concedono “passi” esterni alla relazione: “tu sei mia”. Quante volte l’ho letto sui social, quante volte lo ripostano fiere le ragazzine, come se l’essere di qualcuno e non di sè stessi, sia la cosa giusta, sia una vera prova di amore.
A noi dicevo, a noi donne, insegnano ad avere coraggio. Agli uomini però non insegnano ad avere rispetto, non insegnano l’importanza dei limiti, non insegnano che amare non è “fare propria una donna”, non è possederla, ma è tutt’altro. Agli uomini non insegnano il valore della vita altrui, il valore della libertà, del diritto ad essere e ad esprimersi, del diritto a scegliere di scendere alla prossima fermata, di farsi la propria strada, di tornare, eventualmente, oppure no. Nessuno educa a questo, nessuno educa alle relazioni sane, perché purtroppo “è normale” che amore sia sinonimo di possesso, di ossessione. Ritorno un attimo al film “C’è ancora domani” e penso a Delia, al suo faro: l’amica Marisa. Quell’amica che a un certo punto ha il coraggio di dirle (non ricordo la battuta esatta) “Una volta che vai non guardarti indietro, sennò quello stavolta t’ammazza sul serio”. Dovremmo essere tutte come quell’amica, ma dovremmo anche tutte seguirlo il nostro istinto, essendo amiche di noi stesse, costringendo sia noi, sia le nostre amiche, a non insistere se sentiamo che qualcosa non va. A costo di farci odiare da quelle amiche, a costo di stressarle. Perché noi, in fondo, spesso e volentieri lo sappiamo. E tutti quei segnali non vanno ignorati, tutte quelle sensazioni, quella rabbia, quelle che sembrano liti normali, non vanno accantonate come “cose normali”, “fasi passeggere”. Non c’è nulla di normale. Così come non è normale che, ancora prima di averne certezza, sapevamo quale sarebbe stato l’epilogo della storia. Non possiamo fare altro che restare unite, che essere faro nella vita delle altre, perché per noi donne, è inutile fingere, non è facile. Ci sarà sempre un motivo per cui lottare, sarà così fino a quando non cambieranno realmente le cose. Ma le cose no, non cambiano: il mondo è maschio. La vita però è donna. E quindi, cambiamole noi le cose: siate il faro nella vita delle vostre sorelle, siate il faro della vostra vita, in un mondo in cui, è più facile spegnere i riflettori, o accenderli solo una volta all’anno, magari per le ricorrenze specifiche, piuttosto che ammettere che esiste un gravissimo problema sociale e che oggi, nel 2023, molte cose sono esattamente così come le hanno vissute le nostre mamme, le nostre nonne o le nostre bisnonne. Cara Giulia, l’epilogo lo conoscevamo già, ma abbiamo sperato perché noi in fondo lo sappiamo che insieme, solo insieme, anche se sarà dura, possiamo scrivere un finale diverso.
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