Ho rotto gli ingranaggi, non so se voglio aggiustarli. Sostituirli non conviene, sostituirli non fa bene perché poi perdo tutto, tutto di me, ogni bullone, ogni vite, ogni cerniera, ogni cosa che tiene il corpo saldo mentre dentro gli organi stanno collassando. Ho rotto gli ingranaggi e, semplicemente, non voglio essere io ad aggiustarli, che non so più se li ho rotti io o qualcun altro e dove sta la falla nel sistema, ho trasferito certi organi in altri perché facevano troppo rumore e non riuscivo a sopportarli. Sarebbe stato più facile anestetizzarli, sarebbe stato logico o ragionevole privarli dei sensi, ma è una vita che lotto contro le ragioni che non ti fanno vivere e questo logorio assordante, questa ruggine asfissiante, questi cigolii come eco ingombrante se ne stanno liberi negli spazi vuoti che hai preferito non colmarmi. Ho rotto gli ingranaggi e adesso butto via anche quel che serve per aggiustarli, tanto so che la chiave giusta è una, e voglio essere prima io a sistemarmi, senza rimettere a posto gli organi, senza evitare di scombussolarmi, che sottosopra ci vedo meglio perché non vedo solo, sento e ancora fatico a capire: perché la gente ha paura di sentire? perché fa male? Perché ci si può ferire? Perché si esce allo scoperto? e il bello non è questo? il / bello / è / questo. Si sono rotti gli ingranaggi, si, e tutto gira meglio, fluido e libero, e fa male abbastanza da poterlo dire ad alta voce: esisto, resisto, lotto. Sono viva, sono. Diamine.