Anche le saracinesche avevano qualcosa da dire in quella domenica di febbraio ed Amye ascoltò, lo fece volentieri, lo fece con lo stomaco e l’anima in subbuglio: “meglio tardi che mai” le disse quella scritta verde su grigio e lei rispose, lo fece dopo qualche minuto di silenzio, lo fece pensando che in fondo era vero, tutte le cose belle arrivano prima o poi, anzi, tutto quello che deve accadere, accade, ma aveva sempre preferito dire “non è mai troppo tardi” perché per lei era così, non era mai troppo tardi per far accadere qualcosa, per dire qualcosa, per fare qualcosa. Il meglio tardi che mai prolungava un tempo che a lei piaceva al presente, anche se solo immaginato o contemplato a distanza per una progettazione a lungo termine, il meglio tardi che mai le faceva sembrare immobile tutto, le faceva pensare a qualcosa di fermo, qualcosa che non voleva muoversi al momento giusto, per una qualche ragione, magari seria, oppure stupida, come la paura, la paura di correre il rischio. A lei invece il rischio piaceva, a costo di farsele sbattere in faccia le saracinesche. Non le piaceva aspettare, non le erano mai piaciute le attese, non poteva attendere mai un minuto in più e giocava, giocava con il fato per farle accadere prima, ce la metteva tutta, tornandosene a casa spesso stremata. Le piaceva stare in bilico, questo si, ed era per questo che, in un primo momento, fu favorevole alla poesia urbana parlante di quella domenica invernale. Ma, dopo quei giri di pensiero capì che, l’unica risposta lecita era: no, non aspetto, non un minuto di più. Perché la vita è una, ed è adesso.